Colombo, Emilio

Tipologia Persona

Intestazione di autorità

Intestazione
Emilio Colombo
Tipo
anagrafica

Date di esistenza

Luogo di nascita
Potenza
Data di nascita
11/8/1920
Luogo di morte
Roma
Data di morte
24/6/2013

Attività e/o professione

Qualifica
Presidente Gioventù italiana di Azione cattolica
Data
1944 - 1947
Qualifica
Deputato della Repubblica italiana
Data
16/7/1946 - 9/9/1992
Qualifica
Membro dell'Assemblea costituente
Data
1946
Qualifica
Sottosegretario Ministero agricoltura e foreste
Data
1948 - 1951
Qualifica
Sindaco di Potenza
Data
1952 - 1954
Qualifica
Sottosegretario al Ministero dei lavori pubblici
Data
1953 - 1955
Qualifica
Ministro dell'Agricoltura e foreste
Data
1955 - 1958
Qualifica
Ministro del Commercio con l'estero
Data
1958 - 1959
Qualifica
Ministro dell'Industria e commercio
Data
1959 - 1963
Qualifica
Ministro del Tesoro
Data
1963 - 1970

Nazionalità

Italiana

Biografia / Storia

Nacque a Potenza l’11 aprile 1920, da Angelo, un impiegato della Camera di Commercio della città, originario di Reggio Calabria, e da Rosa Silvia Elvira (Rosina) Tordela.
Quarto di sette figli, si formò negli ambienti cattolici del capoluogo lucano, fondando, a quindici anni, la prima associazione studentesca di Azione cattolica. La frequentazione di quel mondo, negli anni del fascismo, oltre a consolidare in lui una chiara impronta culturale e ideologica, gli consentì di maturare una ferma opposizione al regime. Crebbe nel clima culturale e politico della parrocchia Ss. Trinità (nel centro storico di Potenza), alla scuola di monsignor Vincenzo D’Elia, compagno di studi di Eugenio Pacelli e referente lucano di Luigi Sturzo. D’Elia, d'altronde, era lo zio di don Giuseppe De Luca, lucano anch’egli, autore della Storia della pietà e fondatore delle Edizioni di storia e letteratura: raffinato intellettuale molto vicino alle gerarchie vaticane, sarebbe stato in seguito il confessore di Giovanni XXIII. A partire dal 1930 Colombo fu tra i giovani formatisi alla scuola del vescovo della Diocesi di Potenza e Marsico Nuovo, il mantovano Augusto Bertazzoni, che avrebbe retto a lungo la Diocesi lucana fino al 1966: con lui, suo mentore politico, Colombo avrebbe mantenuto sempre uno strettissimo rapporto.
Nel 1937, al termine della seconda liceale, Colombo conseguì con un anno di anticipo la maturità classica presso il liceo Quinto Orazio Flacco di Potenza, avendo come presidente di commissione Raffaele Ciasca, storico meridionalista, amico di Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini e senatore democristiano nelle prime due legislature repubblicane. Studiò giurisprudenza all’Università di Roma, laureandosi nel 1941 con una tesi in diritto ecclesiastico sulle chiese ricettizie e sulle collegiate (relatore Arturo Carlo Jemolo). Fu proprio studiando nella capitale che ebbe modo di frequentare il cenacolo culturale di De Luca, incontrando intellettuali di primissimo piano come Giuseppe Prezzolini, Giovanni Gentile, Giovanni Papini, Giuseppe Ungaretti, Carlo Bo, Vincenzo Cardarelli e Aldo Palazzeschi. Intenzionato a proseguire gli studi e puntando all’insegnamento universitario, intraprese il percorso di specializzazione in diritto canonico iscrivendosi, nel 1941, al Pontificium Institutum Utriusque Iuris, interrompendo gli studi al secondo anno poiché chiamato alle armi: fu di stanza prima presso il 39° Fanteria e in seguito al 32° Battaglione d’istruzione in Nocera inferiore (Salerno) per il 4° corso preparatorio di addestramento. Frequentò il corso per allievi ufficiali di complemento a Ravenna, congedandosi nel 1943 come sottotenente.
La caduta del fascismo, nel 1943, accelerò il suo rientro a Potenza e contribuì, nei fatti, alla modifica dei progetti iniziali, determinando un rapido ripiegamento sulla carriera politica; in quella fase, infatti, Colombo fu tra le giovani leve impegnate nell’azione di coagulo delle forze antifasciste maturate intorno al mondo cattolico potentino e all’azione del vescovo Augusto Bertazzoni, il cui ruolo fu centrale nell’avvio di quella che si preannunciava già come una lunga e impegnativa carriera politica nelle file democristiane. Bertazzoni, d’altro canto, aveva guidato la Diocesi potentina per gran parte del ventennio fascista e negli anni della guerra, spendendosi, nella ricostruzione repubblicana, per la longeva saldatura tra candidati democristiani, Chiesa locale ed elettorato lucano.Nel 1944 Colombo fu nominato segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica, tenendo l’incarico fino al 1947, quando fu eletto vice presidente del Bureau internazionale des enfants (Organizzazione internazionale di movimenti educativi).

Fu in quello scenario che le elezioni del 2 giugno 1946 cristallizzarono in Basilicata, in un unico quadro d’insieme, gli indirizzi della politica nazionale e i peculiari assetti del contesto lucano: al significativo primato della Democrazia cristiana (DC) fece seguito – precedendo finanche il Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) e il Partito comunista italiano (PCI) – l’Unione democratica nazionale, composta da esponenti di matrice liberale, demolaburista e nittiana. Inequivocabile, al riguardo, era risultato l’effetto di coagulo del consenso prodotto, nel Potentino, della campagna elettorale di Francesco Saverio Nitti, in aperto contrasto con le nuove leve democristiane che, nel frattempo, si stavano imponendo sulla scena politica locale. Colombo, non ancora ventiseienne alla data della designazione (avrebbe compiuto gli anni poco prima dell’elezione), già segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica, con 21.000 preferenze fu il candidato che trascinò alla vittoria la DC nello scontro diretto con Nitti.

Il posizionamento di Colombo fu chiaro fin da subito: la sua visione agganciò gli orientamenti più avanzati di una politica che puntava ad andare anche oltre l’anticomunismo, interpretata da un partito, la DC, che fosse in grado di strutturarsi e di parlare alle masse, capace di fare sintesi tra la visione laico-istituzionale e quella cattolica e di proporsi come alternativa ai comitati civici proposti da Luigi Gedda. In quello che non fu solo un transito istituzionale verso la Repubblica, ma anche un reale avvicendamento di carattere generazionale in rottura con il passato, le giovani leve guidate da Colombo riuscirono più compiutamente a farsi interpreti del nuovo corso (il 'nuovo ordine' sarebbe stato detto) repubblicano. Sul tappeto vi erano le grandi sfide che avrebbero caratterizzato la storia politica democristiana dell’immediato secondo dopoguerra: le istanze di un mondo contadino attraversato da profonde inquietudini, il collocamento dell’Italia nell’orbita atlantica, lo sviluppo del Mezzogiorno, la riconversione complessiva del messaggio politico che avrebbe dovuto ritararsi non più e non solo sull’antifascismo, ma anche sul nuovo collante ideologico dell’anticomunismo.

Alla Costituente Colombo fu componente e segretario della Quarta commissione, presieduta da Luigi Longo, che si occupò dell’esame dei disegni di legge. Di giovane età e privo di esperienza, partecipò con Antonio Segni e Paolo Emilio Taviani alla scrittura degli articoli della Costituzione riguardanti il concetto di proprietà (affermazione, legittimazione, funzione, limiti, doveri verso la collettività), mettendo a punto la cornice normativa all’interno della quale sarebbero poi stati inscritti, tra gli altri, i provvedimenti di riforma fondiaria. Quanto all’attività più propriamente politica, in quei mesi fu promotore di alcuni interventi di sistemazione degli acquedotti lucani.

Fu eletto vicepresidente generale della Gioventù italiana di Azione cattolica (GIAC) nel marzo del 1947, risultando particolarmente attivo nell’organizzazione di incontri e convegni finalizzati al consolidamento del consenso tra i giovani cattolici in vista della tornata elettorale del 1948. In occasione del Convegno di Bologna del settembre 1947 intervenne come relatore al fianco di Carlo Carretto, Gedda e padre Riccardo Lombardi. Negli stessi mesi fu rappresentante della Lucania nel Comitato per il Mezzogiorno, organismo istituito dopo il Congresso di Napoli del 1947 e affidato alla presidenza di Sturzo.

Divenuto l’uomo di punta della DC lucana, alle elezioni per la prima legislatura repubblicana del 1948 Colombo risultò il deputato più eletto nella circoscrizione Potenza-Matera, all’interno di un quadro di graduale assestamento degli schieramenti politici, prevalentemente caratterizzato dal dissolvimento del fronte nittiano e dal ridimensionamento delle sinistre.

Cessata dunque la contesa con Nitti, senatore di diritto e ormai ottantenne, Colombo fu subito introdotto nelle istituzioni di vertice della neonata Repubblica italiana: già componente della IX Commissione (Agricoltura e foreste - alimentazione), a soli ventotto anni fu nominato sottosegretario all’Agricoltura e foreste nel V e nel VI Governo De Gasperi, tra il maggio del 1948 e il luglio del 1951.

In quegli anni l’attività di Colombo si concentrò sul mondo agrario, in un Mezzogiorno scosso dalla recrudescenza di lotte contadine mai del tutto sopite (neanche durante il ventennio fascista) e che, a partire dalla fine della guerra, si erano innestate progressivamente sullo scontro politico tra il centro democristiano e la sinistra socialista e comunista. Il parziale fallimento dei decreti Gullo nel 1944, non sanato neanche con i decreti correttivi emanati da Segni nel 1946, aveva evidenziato l’urgenza di una risposta organica da parte dei governi degasperiani, i quali avrebbero compreso abbastanza presto come nelle campagne del Mezzogiorno si stesse giocando una delle sfide più impegnative per la neonata Repubblica, oltre che la partita più generale del consenso alla politica democristiana. Nel 1949, incaricato da Segni, allora ministro all’Agricoltura e foreste, Colombo fu inviato a Melissa, oggi in provincia di Crotone ma allora ricadente in quella di Catanzaro, dove si stavano verificando scontri tra le forze dell’ordine e i movimenti di lotta per la terra, durante i quali erano state uccise sei persone, tra cui una donna: lo scopo era quello di proporre la mediazione dello Stato nei conflitti e tentare il ripristino della legalità, quest’ultima avvertita come primaria necessità a pochi mesi dall’entrata in vigore della Costituzione. A Colombo fu affidato il mandato di gestire le trattative con i sindacati, affinché fosse ripristinato l’ordine e raggiunto l’accordo di procedere, con la mediazione delle istituzioni democratiche, alla distribuzione delle terre attraverso procedure legali di assegnazione.

Quella vicenda precedette di alcuni mesi la stagione del confronto serrato che avrebbe impegnato Colombo, tra il marzo e il dicembre del 1950, nella definizione degli interventi di riforma fondiaria sul territorio nazionale, i cui strumenti normativi, oltre a prevedere il piano degli espropri per la frantumazione degli antichi assetti latifondistici, definirono i criteri per la ridistribuzione delle quote ricavate dai piani, la realizzazione di opere infrastrutturali e di bonifica, la costruzione di funzionali e autosufficienti insediamenti abitativi, la revisione dei contratti agrari e la disseminazione di più aggiornate conoscenze agronomiche. L’obiettivo era quello di accompagnare il processo di rinascita soprattutto nel Mezzogiorno, con iniziative che, intervenendo in profondità sugli atavici problemi che attanagliavano quella parte del Paese, avrebbero potuto allentare le tensioni sociali che stavano condizionando la già inquieta transizione repubblicana. Al riguardo, il complesso delle misure speciali per il Sud varate nel 1950 che, oltre alla riforma agraria, inaugurarono un imponente piano di intervento straordinario attraverso la Cassa per il Mezzogiorno (che capitalizzava, tra gli altri, i finanziamenti del Piano Marshall), fu destinato a incrociare strettamente alcune misure previste dagli interventi di riforma, come quelle per la realizzazione dei borghi rurali o del ripopolamento degli ex latifondi, tema divenuto in Basilicata – e non solo – oggetto di un aspro di scontro tra forze di governo e gruppi di opposizione. In quel clima, nel luglio del 1950, sempre nella veste di sottosegretario all’Agricoltura e foreste, oltre che maggiorente politico locale, Colombo accompagnò Alcide De Gasperi nello storico primo suo viaggio in Basilicata, durante il quale fece tappa a Potenza, in Val d’Agri e, in ultimo, a Matera, dove ebbe modo di visitare i rioni Sassi, in un giro non programmato e fatto inserire da Colombo solo all’ultimo momento nel programma della giornata: le pessime condizioni igienico-sanitarie in cui molte famiglie materane erano costrette a vivere in quelle antiche grotte, oltre che l’insalubrità di quegli agglomerati scavati nella roccia, convinsero De Gasperi a nominare proprio Colombo a capo di una commissione incaricata di studiare provvedimenti specifici per affrontare quella che, nel discorso seguito in piazza, il presidente del Consiglio avrebbe definito un’«infamia nazionale» (in risposta a Togliatti che, in visita a Matera durante la campagna elettorale per le elezioni del 1948, aveva parlato di «vergogna d’Italia» (Colombo, 2016, p. 18). Rientrato a Roma, Colombo lavorò all’elaborazione di quella che sarebbe stata la legge 17 maggio 1952, n. 619, Legge speciale per il risanamento dei Sassi.

A ben vedere, l’insieme di quelle misure contribuì a consolidare nel Mezzogiorno, all’interno della lotta tra centro cattolico-liberale e fronte comunista, il consenso democristiano contro la diffusione del cosiddetto comunismo mezzadrile, tema centrale in tutta l’azione condotta in quegli anni dalla triade De Gasperi-Segni-Colombo.

Nel luglio del 1951, nel passaggio dal VI esecutivo De Gasperi (entrato in crisi per le dimissioni del ministro del Bilancio Giuseppe Pella) e il VII, a Colombo non furono conferiti incarichi nel nuovo governo. Gli fu chiesto, invece, di candidarsi per le elezioni amministrative della città di Potenza che si sarebbero tenute, anticipatamente rispetto alla scadenza naturale, nel giugno del 1952, quale soluzione alla crisi politica determinata dalle dimissioni del sindaco Pietro Scognamiglio e alla lunga reggenza commissariale di Domenico Zotta. Divenuto ormai l’uomo di punta della DC lucana, Colombo ottenne oltre settemila preferenze, trascinando alla vittoria il Partito (che, con quasi il 32% dei voti, risultò il primo nel nuovo Consiglio), seguito dai fronti comunista, monarchico-missino e socialista. Nella seduta di insediamento del nuovo Consiglio comunale Colombo fu eletto sindaco con 25 voti su 38: rimase in carica dal giugno al dicembre del 1952 quando, in vista della candidatura alle elezioni politiche del giugno 1953 e dell’eventuale incompatibilità tra le due cariche, scelse di dimettersi.

Fu rieletto alla Camera per la II legislatura nella circoscrizione Potenza-Matera, risultando il più votato con oltre 54.000 preferenze. Gli esiti delle politiche del 1953 confermarono da una parte il ruolo di Colombo nelle istituzioni romane e dall’altro il consolidamento della sua leadership sul piano locale, rafforzata, tra l’altro, in occasione della campagna elettorale, dalle ulteriori due visite in Basilicata di De Gasperi, l’ultima delle quali calendarizzata strategicamente per il 17 maggio: in quella circostanza, Colombo fu accanto al presidente del Consiglio nel consegnare le prime case nel nuovo quartiere materano La Martella, sorto per accogliere gli sfollati dei Sassi e costruito secondo gli esperimenti di urbanistica partecipata del laboratorio di Adriano Olivetti, Federico Gorio, Ludovico Quaroni ed Ettore Stella. De Gasperi, in sede di composizione del suo VIII esecutivo (il primo della storia repubblicana che non avrebbe ottenuto la fiducia del Parlamento e che avrebbe segnato di fatto la parabola conclusiva della sua lunga carriera politica), lo avrebbe indicato come ministro dell’Agricoltura e foreste, ma egli preferì, invece, il sottosegretariato ai Lavori pubblici col ministro Giuseppe Spataro, ruolo che avrebbe ricoperto anche accanto al ministro Umberto Merlin nei successivi, nonché brevi, governi Pella (agosto 1953 - gennaio 1954) e Fanfani I (gennaio - febbraio 1954). Proseguì nel medesimo incarico anche nel Governo Scelba (febbraio 1954 - luglio 1955), quando ministro dei Lavori pubblici fu il socialdemocratico Giuseppe Romita: proprio in quest’ultimo governo, Colombo si adoperò per l’approvazione delle norme per l’incentivazione, attraverso specifici capitoli di bilancio dello Stato, dell’edilizia popolare.

Furono anni particolarmente intensi per Colombo, tanto all’interno delle dinamiche di riassestamento nel fronte democristiano, quanto per l’impegno specifico in terra lucana, dove era in corso l’importante partita del riassetto urbanistico di Matera, concepito nell'ambito dei piani di sviluppo per l’intero Mezzogiorno.

Le elezioni del 1953, com’è noto, segnarono il mancato raggiungimento della maggioranza utile perché scattasse il premio previsto dalla nuova legge elettorale, oltre che un significativo arretramento del consenso democristiano rispetto alle elezioni del 1948. Al V Congresso del Partito, celebrato a Napoli nel giugno del 1954 e che avrebbe segnato l’avvicendamento alla guida del Partito tra De Gasperi e Fanfani, la relazione di Colombo, centrata su un’analisi circostanziata delle linee programmatiche della DC, oltre che delle ragioni che erano state alla base del calo del consenso nelle recenti elezioni politiche, fu tra le più apprezzate, tanto che alle elezioni dei vertici del Partito risultò il terzo eletto, dopo De Gasperi e Mario Scelba, e precedendo, tra gli altri,  Amintore Fanfani, Ezio Vanoni, Antonio Segni, Mariano Rumor, Taviani e Giulio Andreotti.

Colombo rivestì quindi il ruolo di ministro dell’Agricoltura e foreste nel I governo Segni (in carica dal 1955 al 1957), unitamente a quello di Alto commissario per l’alimentazione, adoperandosi particolarmente nell’opera di rafforzamento delle relazioni interne alla maggioranza di governo e mediando, nelle trattative politiche, soprattutto con Giovanni Malagodi, leader del Partito liberale. Mantenne gli stessi incarichi anche durante il successivo esecutivo Zoli (1957-1958), seguendo l’applicazione delle leggi di riforma agraria oltre che i passaggi propedeutici alla firma dei trattati di Roma e alla nascita della Comunità economica europea.
 

Rispetto al processo di integrazione europea, Colombo fu un importante riferimento in sede internazionale già a partire dal biennio 1958-1959, quando divenne ministro del Commercio con l’estero nel secondo governo presieduto da Fanfani: fu proprio questi che, riservando per sé l’interim agli Esteri e la guida della segreteria del Partito (una concentrazione di incarichi che gli sarebbe stata apertamente contestata), incaricò Colombo di partecipare ai lavori della CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio) e di seguire, per l’Italia, le trattative diplomatiche e negoziali per l’attuazione degli accordi europei (secondo una visione prevalentemente orientata all’integrazione politica), soprattutto in difesa della politica agricola comune.

Le dimissioni di Fanfani (alle quali sarebbero seguite anche quelle dalla Segreteria della DC), rassegnate nel gennaio del 1959 a seguito della crisi interna al Partito, della spaccatura di Iniziativa democratica (cui afferiva Colombo) e di alcune bocciature parlamentari, evidenziarono, tra l’altro, i malumori della corrente moderata del Partito riguardo alle paventate aperture a sinistra segnando, nella crisi del marzo 1959, la nascita della corrente dorotea di Segni, Taviani, Rumor e Colombo, preludio all’avvicendamento alla guida della DC tra Fanfani e Aldo Moro, quest’ultimo aderente alla medesima corrente ma su posizioni meno intransigenti.

Nell’ambito del dibattito sulla possibilità di avviare un’interlocuzione con il Partito socialista italiano (PSI) di Pietro Nenni, Colombo non si dichiarò mai del tutto contrario, sostenendo la linea della cautela portata avanti dal fronte doroteo a cui apparteneva e ritenendo indispensabile che i socialisti prendessero le distanze dai comunisti, affinché non fosse messa a rischio l’alleanza atlantica e non fosse compromesso il processo europeo di integrazione.

Nel nuovo governo Segni II (1959-1960) gli fu affidata la guida del dicastero dell’Industria e commercio, incarico che avrebbe esercitato, fino al 1963, anche nei tre governi successivi (Tambroni, Fanfani III e IV).

Furono gli anni in cui la politica industriale e commerciale immaginata da Colombo fu improntata agli indirizzi dell’economia sociale di mercato, l’unica in grado di assorbire in sé tanto gli indirizzi cattolici quanto il progressivo avvicinamento alla sinistra socialista, nel tentativo di fugare i dubbi su una possibile virata a destra dell’azione di governo. In quegli anni, alcune sue scelte contribuirono a sostenere il sistema produttivo italiano in pieno boom economico: il varo del piano di incentivi per le medie e piccole industrie e per l’artigianato; la stipula degli accordi con l’ENI (Ente nazionale idrocarburi) di Enrico Mattei per l’avvio delle estrazioni a Gela, in Sicilia, e nella valle del Basento, in Basilicata, al fine di soddisfare il fabbisogno energetico del Paese e riservare al tempo stesso parte dei proventi allo sviluppo dei distretti industriali nei luoghi delle estrazioni; l’implementazione del settore automobilistico quale occasione di sviluppo anche per il Mezzogiorno. Con Colombo alla guida del ministero dell’Industria, inoltre, presero il via anche le prime attività di ricerca per la produzione di energia nucleare, oltre che il piano di unificazione delle tariffe elettriche su tutto il territorio italiano (mediante una 'cassa di conguaglio') e la conseguente nazionalizzazione dell’energia elettrica, sancita dalla nascita dell’ENEL (Ente nazionale per l'energia elettrica).
 

A partire dagli anni Sessanta ebbe inizio la lunga attività di Colombo nei dicasteri economici e finanziari: fu alla guida del ministero del Tesoro, nel primo e breve esecutivo Leone, tra il giugno e il dicembre del 1963; mantenne il medesimo ruolo anche nei successivi tre governi Moro, tra il 1963 e il 1968. Durante il secondo governo Leone, un monocolore DC in carica tra giugno e dicembre 1968, oltre alla guida del Tesoro assunse eccezionalmente anche l’interim al Bilancio e programmazione economica. Fu ministro del Tesoro anche nei tre governi Rumor, tra il 1968 e il 1970.

Quegli anni segnarono la fine del boom economico e l’inizio della stagione del rigore, motivata principalmente dall’esigenza di contenere l’aumento dell’inflazione determinato, in gran parte, dall’ampliamento della spesa pubblica e dai nuovi indirizzi di politica salariale e pensionistica imposti dall’incipiente avvicinamento alla sinistra socialista: fu proprio la difficoltà di conciliare le linee rigoriste di Colombo in materia monetaria e fiscale con le spinte riformatrici imposte negli anni Sessanta dalle alleanze di centro-sinistra che fece registrare spesso ostilità nei confronti dell’operato di Colombo. La politica fiscale e monetaria da lui messa in campo fu il risultato della lunga collaborazione con il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, nonostante nei confronti di quest’ultimo egli avesse espresso in precedenza alcune riserve; alla fine degli anni Cinquanta, infatti, aveva cercato di ritardarne – senza riuscirvi – la nomina a via Nazionale (alla fine del mandato di Donato Menichella) per la linea morbida da questi adottata, da ministro del Commercio con l’estero del governo Zoli, nei riguardi del tentativo inglese di creazione di un’area di libero scambio alternativa al Mercato comune. Dopo la tregua sindacale dei primi anni Sessanta, invece, a partire dal 1963, nel difficile tornante storico che aveva portato a un incremento salariale imposto anche dai timori di un calo di consenso che si immaginava di dover scontare per le recenti scelte politiche relative all’alleanza di centro-sinistra, i rapporti tra Carli e Colombo furono di stretta collaborazione e volti all’individuazione di una linea di forte rigore (secondo il principio della 'crescita nella stabilità'), finalizzata al contenimento dell’inflazione e alla stabilizzazione monetaria, da perseguire attraverso una rigorosa politica fiscale, la restrizione del credito e il contenimento della spesa pubblica, scelte che non mancarono di creare contrasti con il PSI, da sempre sostenitore di una politica di ridistribuzione della ricchezza. La linea di Colombo e Carli, però, maturò non solo nel solco delle ristrettezze imposte dalle condizioni economiche italiane, ma anche nel rispetto degli equilibri richiesti dalla politica economica comunitaria, arrecando non pochi problemi al complesso lavoro di definizione, nelle trattative con la compagine socialista, dei programmi di governo. Nello stesso momento, però, fu anche avviato il piano di finanziamento degli istituti meridionali di mediocredito (Isveimer, Credito industriale sardo e istituti di mediocredito siciliano), al fine di affrontare l’endemico problema del dualismo economico italiano. Nonostante le molte riserve agli indirizzi di politica monetaria messi in campo da Colombo e Carli, il Financial Times assegnò, nel 1965, il secondo Oscar della moneta alla lira italiana (il primo era stato attribuito nel 1960), per la capacità di ripresa dimostrata dalla divisa italiana dopo la crisi dell’inverno 1963-64.
 

Sostenitore della linea atlantica ed europeista, durante la presidenza di turno della Comunità europea del 1962, Colombo fu tra i negoziatori delle convenzioni di Youndé, trattati economico-finanziari e assistenziali tra alcuni paesi africani, ex colonie di Stati europei, e la Comunità europea; durante la presidenza italiana del Fondo monetario internazionale nel 1963, si spese per la promozione della relazione paritaria tra Europa e Stati Uniti, secondo la linea di collaborazione proposta da John Kennedy.

Sul piano della politica economica europea, Colombo fu tra i negoziatori più influenti durante la 'crisi della sedia vuota', generata dall’abbandono del Consiglio europeo da parte della Francia durante il semestre di presidenza italiano nella seconda metà del 1965; le ragioni risiedevano tanto nelle scelte comunitarie in tema di politica agricola comune, quanto nel tentativo di superare il meccanismo del voto all’unanimità, come previsto dai trattati di Roma e che trovava contraria la Francia di Charles de Gaulle: le riserve francesi, in realtà, si fondavano prevalentemente sul timore di un eccessivo rafforzamento delle istituzioni europee in chiave politica e non più soltanto economica. Sul piano negoziale toccò a Colombo, ministro del Tesoro italiano, e a Maurice Couve de Murville, ministro degli Esteri francese, l’avvio delle trattative che avrebbero condotto, a inizio 1966, alla sottoscrizione del Compromesso di Lussemburgo, un accordo che, pur introducendo il voto a maggioranza qualificata, riconosceva l’opzione della sospensione del voto nel caso di questioni particolarmente importanti per uno degli Stati membri, condizione che avrebbe dovuto spingere a negoziati a oltranza fino al raggiungimento dell’accordo definitivo.
 

Nel 1970, in seguito alla crisi del governo Rumor, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, dopo un primo fallimentare tentativo compiuto con Andreotti, affidò a Colombo l’incarico di formare il nuovo governo. Si trattò di un esecutivo di centro-sinistra, sostenuto da DC, PSI, Partito socialista democratico italiano (PSDI), Partito repubblicano italiano (PRI), il quale offriva garanzie di chiusura riguardo a qualsiasi ipotesi di avvicinamento ai comunisti. Entrato in carica il 6 agosto 1970, il Governo fu impegnato nel piano di riforma del fisco (basato sulla progressività delle imposte, sull’assestamento dell’Iva e sull’approvazione di leggi sulla casa e sull’esproprio dei suoli), i cui decreti applicativi sarebbero stati approvati quando, fra il 1973 e il 1974, Colombo avrebbe assunto la guida del ministero delle Finanze nel IV governo Rumor. Una delle prime e più spinose questioni che Colombo dovette affrontare nell’autunno-inverno del 1970 fu quella della rivolta di Reggio Calabria, la cui gestione avrebbe richiesto finanche l’impiego di contingenti militari; si era nel vivo dei processi istitutivi delle Regioni, segnati in Calabria da azioni intimidatorie e scontri innescati dalla decisione di individuare in Catanzaro la città capoluogo. Nella rivolta, tra l’altro, alla composita compagine dei rivoltosi si erano aggiunte frange malavitose locali e forze di destra capeggiate da Junio Valerio Borghese. Dopo dieci mesi di scontri, durante i quali si registrarono vittime e attentati dinamitardi alle linee ferroviarie, la questione fu affrontata, sul piano politico, col varo del cosiddetto 'pacchetto' o 'piano Colombo', in virtù del quale fu deciso che Catanzaro sarebbe stata città capoluogo e sede della Giunta regionale, Reggio Calabria sede del Consiglio regionale e Cosenza, più marginale rispetto alle contese, avrebbe avuto l’Università. Il piano fu ampliato anche a iniziative di carattere infrastrutturale, con la costruzione del porto di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria (oggi uno dei più importanti del Mediterraneo), destinato all’implementazione e al rafforzamento dell’economia di tutta la piana; nessun seguito, invece, avrebbe avuto il progetto di realizzazione di un polo industriale a Sant’Eufemia d’Aspromonte.

Il governo Colombo proseguì anche sulla linea del controllo dei conti pubblici e della rigorosa politica monetaria attraverso il cosiddetto decretone economico Colombo (approvato col ricorso al voto di fiducia per via dell’ostruzionismo esercitato dalle opposizioni), con il quale si puntò al controllo delle ondate inflazionistiche e al sostegno della produzione interna. Tra il 1971 e il 1972, inoltre, furono inaugurati gli stabilimenti Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco e Fiat di Termoli, all’interno di un piano di industrializzazione per il Mezzogiorno che aveva visto in Colombo uno degli artefici negli anni in cui era stato alla guida del Tesoro.

La fine dell’esecutivo a guida Colombo, datata 17 febbraio 1972, avvenne in concomitanza con l’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica: rassegnate, come di prassi, le dimissioni 'di cortesia' al nuovo capo dello Stato, Leone conferì nuovamente l’incarico a Colombo. Le consultazioni, tuttavia, resero subito evidenti l’indisponibilità delle forze di maggioranza a proseguire con un nuovo governo che fosse la naturale prosecuzione del precedente esecutivo di centro-sinistra (non ancora giunto a scadenza naturale), poiché tale scelta aveva pregiudicato la tenuta del fronte democristiano e determinato la perdita di alcune amministrazioni locali nel frattempo passate alla destra.

La scelta, dunque, cadde su Andreotti, nel cui primo esecutivo, un monocolore democristiano in carica da febbraio a giugno del 1972, Colombo fu ministro del Tesoro; nel secondo governo Andreotti, invece, in carica dal 1972 al 1973, fu nominato ministro senza portafoglio del Consiglio dei ministri (con delega per i compiti politici particolari e di coordinamento, con speciale riguardo alla presidenza della delegazione italiana all’ONU).

Dopo una breve esperienza alle Finanze nel breve governo Rumor IV (1973-1974), Colombo tornò alla guida del Tesoro nel successivo Rumor V (marzo - novembre 1974), per rimanervi anche nei due brevi esecutivi a guida Moro (IV, 1974 - 1976; V, febbraio - luglio 1976), trovandosi ad affrontare le ripercussioni inferte all’economia italiana dalla fine del gold exchange standard deciso dagli Stati Uniti e i duri contraccolpi determinati della crisi petrolifera.
 

Nel 1976 Colombo fu designato quale rappresentante italiano al Parlamento europeo, di cui divenne presidente l’8 marzo 1977. La sua presidenza diede un significativo impulso alle dinamiche internazionali, in particolare alle relazioni diplomatiche con Israele, Egitto, Messico e Cina, paese quest’ultimo nel quale l’Italia, vigente il suo governo, aveva pionieristicamente aperto un’ambasciata fin dal 1971; fu ricevuto nei parlamenti spagnolo e portoghese per dare abbrivio al lungo itinerario che, dopo la caduta dei regimi totalitari, avrebbe dovuto condurre all’ingresso di quei paesi nella Comunità europea. Operò per la modifica del sistema elettorale per il Parlamento europeo, sostenendo l’adozione del suffragio universale diretto: nel 1979, nel corso delle prime elezioni celebrate con la nuova modalità, fu eletto per la Circoscrizione dell’Italia meridionale con un amplissimo consenso, circa 860.000 preferenze (primo eletto, con oltre 400.000 voti di stacco dal secondo), segno di un indiscusso radicamento non solo in Basilicata, ma in tutto il Mezzogiorno.

Nello stesso anno gli fu attribuito il premio Carlo Magno, terzo italiano a riceverlo dopo De Gasperi e Segni, per aver sostenuto e diretto con forza il progetto comunitario e aver fornito un contributo significativo all’integrazione europea. Si dimise dal Parlamento europeo nel 1980 poiché chiamato ad assumere la guida degli Affari esteri in Italia nel secondo governo Cossiga (aprile - ottobre 1980): fu durante quei mesi che, mediando perché fosse trovata una via d’uscita rispetto alle richieste di riequilibrio finanziario avanzate da Margaret Thatcher, difese con forza i piani della politica agricola comunitaria.

Fu tra i promotori, con Francesco Cossiga, della storica Dichiarazione di Venezia (approvata dal Consiglio europeo durante la presidenza di turno italiana nel giugno del 1980), un documento sulla politica europea per il Medio Oriente, con cui si operò per la conciliazione, secondo la formula 'due popoli, due Stati', per la temporanea soluzione della controversia israeliano-palestinese.
 

Colombo fu confermato agli Affari esteri nei successivi governi Forlani I (1980 - 1981), Spadolini I (1981 - 1982) e II (agosto - dicembre 1982), Fanfani V (1982 - 1983), gestendo la questione degli euromissili, ovvero del 'bilanciamento', attraverso la collocazione di missili americani in Europa, dell’arsenale nucleare a media gittata installato dall’URSS sul finire degli anni Settanta, in base alla linea reaganiana dell’opzione zero, destinata, nel medio periodo, a porre le basi per il progressivo e congiunto smantellamento degli armamenti nucleari.

Con Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Esteri della Repubblica Federale Tedesca, redasse l’omonimo atto Colombo-Gensher (del novembre 1981), una proposta di rilancio del processo di integrazione politica dell’Europa alla base della successiva dichiarazione solenne sull’Unione Europea di Stoccarda del giugno 1983, primo atto dell’attuale assetto comunitario.

Fu presidente dell’Unione europea democratico cristiana (UEDC) dal 1985 e dell’Internazionale democratico cristiana dal 1993. Dal 1986 al 2003 fu presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi superiori, ente fondatore dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Ricoprì l’incarico di ministro del Bilancio e della programmazione economica nel governo Goria I (1987 - 1988) e di ministro delle Finanze dell’esecutivo De Mita I (1988 - 1989). Rieletto al Parlamento europeo nel 1989, dal 1990 fu nominato presidente del Comitato atlantico italiano. Tra il 1992 e il 1993 fu ministro degli Affari esteri del primo Governo Amato.

Dopo la fine dell’esperienza democristiana Colombo sostenne l’Ulivo di Romano Prodi; alle elezioni del 2001 fu candidato al Senato per il Collegio di Potenza nella lista del movimento Democrazia Europea di Sergio D’Antoni, ma non fu eletto.

Nominato senatore a vita il 14 gennaio del 2003 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale» (https://dati.quirinale.it/lod/comunicatoStampa/pressrelease-001-002851.html), nello stesso anno fu coinvolto in un’inchiesta per l’uso di sostanze stupefacenti a scopo terapeutico.

Sedette a Palazzo Madama dalla XIV alla XVII legislatura, prendendo parte a diverse commissioni permanenti. Nell’ottobre del 2011 gli fu assegnata la medaglia d’oro della Fondazione Jean Monnet, «per gli alti meriti avuti nella nascita e nello sviluppo della CEE e dell’Unione europea» (P. Grasso, Commemorazione di Emilio Colombo, in Senato della Repubblica, XVII Legislatura, Assemblea, Resoconto stenografico, Allegati, Seduta di martedì 24 settembre 2013, p. 7).

Morì a Roma il 24 giugno 2013.

 

 

 

 

Archivi

Roma, Archivio storico della Camera dei Deputati, Onorevole Emilio Colombo; Archivio Istituto Luigi Sturzo: Fondo Emilio Colombo.

Bibliografia

Storia della Democrazia cristiana, a cura di F. Malgeri, Roma 1988-1989, voll. 5; Verso orizzonti più vasti. Emilio Colombo: un europeo, s.n.t; L. Sacco, Il cemento del potere: storia di Emilio Colombo e della sua città, Matera 2009; G. Cantarella, Il Pacchetto Colombo. La Rivolta: documenti parlamentari, Reggio Calabria 2011; Emilio Colombo, a cura della Regione Basilicata, Matera 2013; Per l’Italia, per l’Europa, conversazione con A. Levi, Bologna 2013; Emilio Colombo. L’ultimo dei costituenti, a cura di D. Verrastro - E. Vigilante, Roma-Bari 2016.

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